Curare il passato, immaginare il futuro: un dialogo con Gražina Subelytė

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Nel lavoro di Gražina Subelytė la curatela diventa uno strumento di scoperta, un atto di cura e, soprattutto, un esercizio di memoria attiva. Tra archivi dimenticati e opere capaci di parlare ancora oggi al presente, il suo sguardo si muove con attenzione tra le storie e i contesti che le hanno generate, restituendo all’arte una dimensione viva e interrogativa. 

Lituana di origine e formatasi tra Germania e Regno Unito, Gražina Subelytė lavora da oltre diciassette anni alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, dove ha costruito una carriera curatoriale forte e appassionata. Dopo aver completato il dottorato al Courtauld Institute of Art di Londra, ha firmato progetti espositivi che hanno rinnovato la lettura dell’arte del Novecento ‒ dal Surrealismo alle pratiche esoteriche ‒, contribuendo in modo originale a restituire centralità a figure e correnti spesso dimenticate. Mostre come Peggy Guggenheim. L’ultima dogaressa (2019-2020) e Surrealismo e magia. La modernità incantata (2022) mettono in luce il suo interesse per la complessità del ruolo del curatore, inteso come mediazione tra pubblico e aspetto narrativo. 
Questa intervista nasce da un racconto intimo e generoso, in cui Gražina Subelytė approfondisce il suo metodo di lavoro, i riferimenti formativi e l’urgenza di riscrivere una storia dell’arte più ampia, aperta e consapevole. 

Come è iniziato il tuo percorso nel mondo dell’arte e cosa ti ha portata a lavorare alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia? 
Ho frequentato il corso di laurea triennale in Germania, alla Jacobs University di Brema, con una doppia specializzazione in Scienze sociali e politiche e in Storia e teoria dell’arte e della letteratura. Ho poi conseguito un master in Arte moderna e contemporanea presso Christie’s Education a Londra, in collaborazione con l’Università di Glasgow. Ho svolto diversi tirocini: da Christie’s a Berlino allo ZKM di Karlsruhe, in una galleria privata a Londra e in una società di ricerca sull’arte trafugata. Sono arrivata alla Collezione Peggy Guggenheim circa diciassette anni e mezzo fa per uno stage e, in pratica, non me ne sono mai andata. Durante la mia esperienza qui, ho completato un dottorato al Courtauld Institute of Art di Londra. Devo dire che mi sono sempre sentita attratta dai contesti museali, dove l’arte incontra il pubblico. Trovo Peggy Guggenheim una collezionista e mecenate davvero ispiratrice e coraggiosa. È un privilegio lavorare in questo museo, che rappresenta un crocevia straordinario di arte moderna, ricerca e narrazione. 

Ci sono figure – maestri, curatori o anche artisti – che consideri fondamentali in quella che è stata la tua formazione, anche indirettamente? 
Prima di tutto il mio insegnante di arte, Povilas Spurgevičius. Quando io o altri studenti disegnavamo e dipingevamo in modi più tradizionali, ci incoraggiava sempre a liberare l’immaginazione e a non limitarci a ciò che è visibile e ovvio. È stato lui a insegnarmi a creare con fantasia senza limiti. Grazie a lui ho compreso l’importanza dell’immaginazione e in seguito ho deciso di studiare storia dell’arte. In effetti, gli artisti del XX secolo rappresentati nella Collezione Peggy Guggenheim hanno davvero infranto le tradizioni, cercando nuovi modi – spesso non convenzionali – per rappresentare non solo il mondo esterno, ma anche la propria dimensione interiore. Cerchiamo sempre di sottolineare lo spirito rivoluzionario di questa collezione. 
Un’altra figura importante per me è la professoressa Ursula Frohne, che è stata la mia docente di storia dell’arte all’università in Germania. Mi ha profondamente ispirata e mi ha trasmesso una lezione fondamentale: tutta l’arte è politica. Parlando di figure storiche, mi ispira molto il lavoro delle leggendarie curatrici d’avanguardia come Katharine Kuh e Palma Bucarelli, che fu direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. 

LA CURATELA SECONDO GRAŽINA SUBELYTĖ 

Com’è cambiata nel tempo la tua visione del ruolo del curatore? Quali sono, secondo te, oggi, le responsabilità che dovrebbe avere questa figura? 
Credo che un curatore sia uno storyteller, una figura che media tra l’opera e il pubblico, ma che oggi diventa anche un agente di cambiamento culturale. La responsabilità di raccontare storie plurali, di recuperare voci dimenticate e di offrire nuovi sguardi è centrale. Inoltre, soprattutto in un’istituzione come la Collezione Peggy Guggenheim, è fondamentale mostrare quanto fosse davvero rivoluzionaria l’arte che Peggy Guggenheim ha collezionato. È importante mantenere un dialogo continuo tra passato e presente. 

Come riesci a bilanciare la tua visione curatoriale con il contesto istituzionale in cui lavori e con il pubblico a cui sono rivolte le mostre? 
Nel nostro programma espositivo cerchiamo sempre di trovare un equilibrio tra nomi noti e artisti meno conosciuti, in modo che il pubblico possa anche scoprire nuove visioni artistiche. In tutto ciò che facciamo, per noi è fondamentale mostrare come l’arte del periodo in cui visse Peggy Guggenheim continui a essere incredibilmente attuale ancora oggi, poiché presenta molte analogie con il mondo contemporaneo. Ora, come nel corso della storia, l’umanità sta vivendo un periodo di trasformazione, spinto da sviluppi sociali e politici, progressi tecnologici, guerre, cambiamenti climatici e altri fattori che influenzano direttamente o indirettamente il nostro stato dell’essere. Questa influenza si riflette profondamente anche nell’arte, con le opere che diventano veri e propri documenti capaci di raccontare questi cambiamenti rivoluzionari. Il XX secolo è stato un’epoca di profondi cambiamenti politici, sociali e artistici. Quella che oggi, in modo apparentemente paradossale, chiamiamo modernità classica è avanzata grazie alla sperimentazione e alla rivoluzione dell’idea stessa di cosa possa essere l’arte, trovando modalità radicali e nuove per rappresentare la realtà interiore ed esteriore. Gli artisti rappresentati alla Collezione Peggy Guggenheim hanno rotto con la tradizione e messo in discussione le eredità artistiche del passato. Hanno inventato nuovi linguaggi espressivi, riflettendo i valori e le convenzioni in trasformazione. Nel mio lavoro come curatrice sia della collezione permanente sia delle mostre da me curate, sottolineo sempre questi aspetti. 

Come nasce l’idea per una mostra? Qual è il tuo approccio alla ricerca e alla selezione dei temi e degli artisti da presentare? 
L’ispirazione per una mostra può venire da molte fonti, ma si tratta sempre di trovare qualcosa di originale, qualcosa che non sia stato mai fatto prima. Ogni mostra nasce da una domanda, da una curiosità o da un vuoto che sento nel racconto museale. Studio in profondità i movimenti e gli artisti del Novecento, ma anche le mostre che Peggy Guggenheim ha organizzato nel corso della sua vita, sia nella sua prima galleria, la Guggenheim Jeune (1938-1939) a Londra, sia nel suo museo-galleria Art of This Century a New York (1942-1947). Rimango sempre colpita da quanto ci sia ancora da scoprire sul suo sostegno agli artisti! Ad esempio, ha organizzato mostre davvero all’avanguardia, sia collettive sia numerose personali, dedicate ad artiste donne come Janet Sobel, Irene Rice Pereira, Sonja Sekula e Virginia Admiral, solo per citarne alcune. 
La maggior parte degli artisti rappresentati nella nostra collezione purtroppo non è più in vita e, in questi casi, leggo il più possibile, mi aggiorno sulla ricerca accademica e sulle ultime mostre (mi confronto con colleghi e studiosi), cercando sempre nuovi punti di vista per avvicinarmi alla loro arte. Dedico molto tempo alla ricerca approfondita sulle opere e sulla loro presentazione – ad esempio, su come l’artista avrebbe voluto che venisse esposta una determinata opera. Tuttavia, non si tratta solo degli oggetti, ma anche delle relazioni che li circondano: quelle tra gli artisti stessi, con la storia, con altre discipline… C’è sempre un passaggio continuo tra prospettive micro e macro. 
Alcune delle mie mostre sono tematiche, altre cronologiche, oppure un mix di entrambe. La selezione degli artisti o dei temi avviene in modo organico. Per me, le esposizioni sono una forma di narrazione: come curatrice, costruisco un racconto, simile alla lettura di un libro. Tuttavia, se da un lato le mostre devono insegnare e offrire delle risposte, dall’altro devono anche metterci alla prova e farci porre delle domande. 

LE MOSTRE CURATE DA GRAŽINA SUBELYTĖ 

Cosa ti ha portata a specializzarti in una corrente artistica come il Surrealismo? Che cosa trovi ancora oggi attuale o affascinante in questo movimento? 
Peggy Guggenheim è stata una delle più importanti mecenati e collezioniste del Surrealismo a livello mondiale. Aveva compreso quanto il Surrealismo fosse un movimento estremamente attuale, e io condivido pienamente questa visione. Mi sono rimaste impresse le parole dell’artista Remedios Varo. Quando le chiesero se il Surrealismo fosse in declino, rispose: “Non credo possa mai scomparire nella sua essenza, perché è inseparabile dall’umanità. I surrealisti hanno indubbiamente previsto i tempi che stiamo vivendo: erano pacifisti, anticapitalisti, anticolonialisti, promuovevano l’amore per la natura e l’ecologia, e le artiste surrealiste furono delle proto-femministe forti e consapevoli. Di fronte all’assurdità della realtà dei due conflitti mondiali, i surrealisti si rivolsero ai sogni, all’inconscio e alla magia per cercare modi alternativi di comprendere l’universo. A cent’anni di distanza, troviamo molte analogie con il nostro presente – dall’ansia pandemica alle catastrofi climatiche, fino naturalmente alle guerre. Credo che la società abbia iniziato a riconoscere l’importanza di questo movimento, spesso frainteso. I surrealisti credevano profondamente – anche se in modo idealistico – di poter influenzare il mondo, di “incantarlo di nuovo” in un momento di trauma collettivo. Il Surrealismo è una filosofia di vita che sceglie uno sguardo positivo sul mondo per rinnovarlo attraverso la conoscenza di sé. Credo che ognuno di noi possa trarne ispirazione. 

Durante la tua lezione alla School for Curatorial Studies Venice, ci hai parlato della mostra dedicata alla prima galleria di Peggy Guggenheim, la Guggenheim Jeune, che sarà presentata a Venezia e successivamente alla Royal Academy of Arts di Londra. Quali sfide si incontrano nel raccontare una figura come Peggy Guggenheim in un contesto britannico, rispetto a Venezia e New York? 
La sfida principale è contestualizzare Peggy Guggenheim, sempre mantenendo intatta la sua unicità e complessità. In ogni contesto, presentiamo al pubblico i molteplici ruoli che lei ha ricoperto: collezionista e mecenate delle arti, promotrice delle avanguardie, figura cosmopolita. Per noi, questa mostra rappresenta un’opportunità per esplorare una fase meno conosciuta della sua vita.  

Nelle tue mostre emerge spesso una particolare attenzione verso le artiste donne, specialmente quelle dimenticate e marginalizzate. Come si svolge il tuo lavoro di ricerca in questo caso? Quali sono i criteri di selezione delle artiste? 
Un criterio fondamentale nella selezione delle artiste non è stato il fatto che fossero donne, ma che fossero grandi artiste, capaci di produrre opere di alta qualità e che meritano di essere maggiormente conosciute dalla società. 

CURATELA E RESPONSABILITÀ 

Credi che il ruolo del curatore possa avere un impatto reale nel riscrivere una storia dell’arte più inclusiva? E in che modo cerchi di farlo nel tuo lavoro quotidiano? 
Sì, credo che il curatore abbia una responsabilità concreta in questo senso. Il modo in cui raccontiamo l’arte – chi includiamo, quali opere valorizziamo – costruisce immaginari. Nel mio lavoro quotidiano cerco sempre di interrogarmi su cosa manca, su chi è stato escluso e perché. L’inclusività non è solo una questione di rappresentanza, ma anche di prospettiva critica. 

Qual è il consiglio che daresti a un giovane curatore che cerca di crearsi la propria strada in questo ambiente lavorativo? 
Consiglierei di essere curiosi, rigorosi, devoti e pazienti. Credo che questo valga in qualsiasi ambito: è fondamentale impegnarsi davvero nel percorso che si è scelto. Se hai passione per quello che fai, non aver timore di mostrarla. Abbi pazienza: le cose richiedono tempo e nulla di significativo arriva nell’immediato. È importante studiare molto, visitare mostre, leggere, ma anche saper ascoltare e confrontarsi con gli altri. Trovare una propria voce, un punto di vista autentico che guidi il lavoro, è essenziale. E infine: non scoraggiarsi. Le difficoltà non mancano, ma la passione e la dedizione fanno davvero la differenza. 

Valeria Eneide 

https://www.guggenheim-venice.it/it/

  • Exhibition view of Rita Kernn-Larsen. Surrealist Paintings at Peggy Guggenheim Collection, Venice, 2017. Photo by Matteo De Fina.
  • Exhibition view of Rita Kernn-Larsen. Surrealist Paintings at Peggy Guggenheim Collection, Venice, 2017. Photo by Matteo De Fina.
  • Exhibition view of Rita Kernn-Larsen. Surrealist Paintings at Peggy Guggenheim Collection, Venice, 2017. Photo by Matteo De Fina.
  • Exhibition view of Surrealism and Magic: Enchanted Modernity at Peggy Guggenheim Collection, Venice, 2022. Photo by Matteo De Fina.
  • Exhibition view of Surrealism and Magic: Enchanted Modernity at Peggy Guggenheim Collection, Venice, 2022. Photo by Matteo De Fina.
  • Exhibition view of Surrealism and Magic: Enchanted Modernity at Peggy Guggenheim Collection, Venice, 2022. Photo by Matteo De Fina.
  • Portrait of Gražina Subelytė. Photo by Matteo De Fina.
  • Exhibition view of 1948: la Biennale di Peggy Guggenheim at Collezione Peggy Guggenheim, Venice, 2018–19. Photo by Matteo De Fina.
  • Exhibition view of 1948: la Biennale di Peggy Guggenheim at Collezione Peggy Guggenheim, Venice, 2018–19. Photo by Matteo De Fina.
  • Exhibition view of 1948: la Biennale di Peggy Guggenheim at Collezione Peggy Guggenheim, Venice, 2018–19. Photo by Matteo De Fina.