Tommaso Pandolfi: un giocoliere dell’ineffabile? Parola all’artista

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Durante una visita con la School for Curatorial Studies Venice agli atelier della Fondazione Bevilacqua la Masa di Venezia, abbiamo conosciuto la pratica dell’artista visivo e compositore di musica elettronica Tommaso Pandolfi. Da questo primo coinvolgente punto di contatto nasce l’intervista che segue, incentrata sulle relazioni – fruttuose ma anche tese – fra arti visive e musica.

Tommaso Pandolfi (Ancona, 1995) è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Urbino in Nuove tecnologie dell’arte e ha conseguito una laurea magistrale in Arti visive allo Iuav di Venezia. La sua pratica attraversa disegno, video e musica e si situa al limite tra rigorosità formale ed espressione patetica, sfociando in una ricerca volta alla saturazione e alla stratificazione. Attivo dal 2011, il suo progetto musicale Furtherset si caratterizza per loop melodici, cluster sintetici e tessiture rarefatte.
Lo abbiamo intervistato per conoscere le origini e gli obiettivi della sua pratica artistica.

L’INTERVISTA CON TOMMASO PANDOLFI

La tua pratica si snoda attraverso due ambiti, quello visivo e musicale. Hai notato differenze nella relazione con i curatori in questi due settori? Da un punto di vista esterno, spesso i festival possono apparire come spazi più liberi e fluidi, mentre quelli tradizionalmente legati al mondo dell’arte appaiono più formali. Sei d’accordo?
Che si tratti di un piccolo evento indipendente, di un festival o di un’istituzione, non vedo una netta divisione tra il mondo musicale e quello artistico in termini di formalità.

Ultimamente la musica o il suono, al di là di un orizzonte prettamente musicale, si stanno infiltrando sempre di più negli spazi espositivi. Tuttavia, specie rispetto a indagini sonore più sperimentali e innovative, sembra ancora mancare la stessa riverenza accordata all’arte visiva. 
Negli ultimi anni osservo un continuo scambio tra diverse pratiche, sia nel lavoro degli artisti che per quanto riguarda open call, residenze o progetti di varia natura. Ovviamente si tratta di ambiti distinti e dipende sempre dalla specificità dei progetti che vengono commissionati o presentati. Tuttavia, noto un’apertura sempre più accogliente.

Non solo in ambito visivo, ma anche in quello specificamente musicale, si osserva una crescente rappresentazione di voci finora più marginalizzate. Consideri questa apertura come un’occasione fruttuosa per far conoscere tali progetti a un pubblico più ampio o percepisci la minaccia della loro tokenizzazione all’interno di una logica estrattivista che troppo spesso, al di sopra del valore umano, si concentra esclusivamente sul ritorno economico? 
Ogni cosa presentata fuori dal proprio contesto conduce a una potenziale forma di tradimento rispetto al suo concetto originale. Anche etimologicamente, tuttavia, un tradimento comporta sempre anche un trasportare. È importante dunque che le voci vengano amplificate e fatte ascoltare, anche nell’inevitabilità di una loro tokenizzazione, minaccia presente in quasi ogni frangente di una società consumistica e capitalistica. In questi sistemi, la questione della rappresentazione, delle identità e dell’utilizzo che ne viene fatto è abbastanza palese, soprattutto quando ci sono grandi capitali che espropriano tematiche – come per l’appunto la rappresentazione sociale – attraverso la declinazione dei vari conosciuti tipi di washing. C’è sempre da nutrire un gran sospetto verso qualsiasi forma di vendita, specie in quella attuata da grandi istituzioni e capitali. 

DISEGNO E MUSICA SECONDO TOMMASO PANDOLFI

Musica e disegno sono fondamentali nella tua pratica, cosa ti porta a rappresentare un’idea attraverso il disegno piuttosto che con la composizione musicale? 
La mia pratica artistica è divisa in pratica visiva e musicale, due ambiti che difficilmente si vanno a incontrare, difficoltà che approccio ormai come naturalità e anche con rispetto per entrambi i sistemi. Decidere volontariamente di traslare un’idea in entrambi i media, perché magari il sistema richiede questa rappresentazione continua, mi ha sempre fatto sentire come un giocoliere: dimostrare di poter fare tutto contemporaneamente, una dimensione che a me non interessa, anche perché c’è un discorso di qualità dietro, dunque anche di razionalizzazione delle energie. 
Ogni idea ha delle sue specificità, che possono essere visive o musicali. Quando incontro spunti che fanno scaturire visioni nella mia mente, molto spesso sono input di natura visiva. Nell’ambito musicale si tratta più spesso di intuizioni che nascono organicamente dall’improvvisazione. Musicalmente queste idee sono maggiormente legate a questioni di ineffabilità, all’impossibilità di mettere su testo determinate intuizioni. La musica per me è legata a tale impossibilità di iscrizione precisa, in cui risiede anche il bello della pratica. Una volta terminate delle composizioni, sta poi a chi ascolta vivere quell’esperienza, quell’emozione e farla sua, raccontarsi cioè la propria storia o, meglio, visione. Questa è per me l’idea più forte dietro ogni oggetto musicale, dopodiché nemmeno io so esattamente cosa ci sia in quelle creazioni. 
Esistono poi ovviamente delle cornici di testo che vanno a inquadrare un EP, un album o un singolo; non dico che siano delle trovate, però sì dei giochi – più o meno seri – come può essere più o meno serio un giocare visivo. Infine c’è un ricostruire a posteriori il tracciato di creazione e riconoscervi elementi che effettivamente possono alimentare questa cornice di titoli e, ovviamente, anche in questo giocare archeologico persiste sempre una dimensione di verità, una forte verità emotiva. 

E per quanto riguarda la componente visiva?
In ambito invece di creazione di immagini, c’è prevalentemente una questione di ricerca, di indagare – così come in ambito accademico – se alcune cose sono state già fatte, scritte o teorizzate. Anche nel caso in cui la risposta sia positiva, come spesso accade in ambito visivo, io provo a rifarli, dando vita non a una copia esatta, bensì a un rifacimento che rompe dei meccanismi, che li ripensa e li rinnova, appropriandosene.
Questi due sistemi, quello musicale e quello artistico, hanno sì le loro porosità, ma tendo anche ad apprezzare le loro specificità. Mi piace che si incontrino soltanto quando se ne sente veramente la necessità, altrimenti, come detto all’inizio, diventa una questione di far vedere che si sanno fare tante cose, ma alla fine non si fa niente bene. Fare una cosa alla volta significa anche fare le cose fatte meglio. 

Come si intersecano disegno e musica nella tua pratica quotidiana? Senti l’impulso di ascoltare musica mentre disegni o hai intuizioni visive nel comporre o mentre ascolti determinata musica? Come gestisci le energie?
Solitamente divido il mio anno in sei mesi e sei mesi. Una ripartizione naturale che si adegua anche a esigenze progettuali. Solitamente infatti prima compongo la musica e, una volta terminata la composizione, lavoro sulla parte visiva dell’album, ad esempio, la copertina o la produzione video. Quest’ultima fase è sempre una fase di passaggio verso l’altra metà dell’anno più specificatamente visiva. Ultimamente è emerso uno scambio più fluido tra musica e immagini, con l’artwork dell’ultimo album, Wounds of Melody (Kohlhaas, 2025), una sintesi che tuttavia non è sempre così forte. In altre parole, quando sto lavorando alla musica, non sto pensando al disegno, tendenzialmente non disegno nemmeno, perché mi concentro più su una cosa alla volta. Quando poi si passa a tutta la fase di disegno, ascolto molta musica, che poi serve anche come ricarica e fucina di idee per tutto quello che sarà la nuova stagione musicale.

 TOMMASO PANDOLFI E L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Per il Padiglione dell’Uzbekistan, alla Biennale d’Arte di Venezia del 2022, hai interagito con Velocity0 di Charli Tapp. Un’installazione sonora alimentata da un una rete neurale in evoluzione che – attraverso una serie di processi meccanizzati – consente a un pianoforte non solo di suonare autonomamente, ma anche di interagire dal vivo con altri musicisti. Questa interazione tra esecutori umani e macchine solleva interrogativi più ampi sull’intelligenza artificiale. Qual è la tua posizione generale sul suo ruolo nella musica?
Partendo dal progetto di Charli Tapp, Velocity0: Stress-Test, lì c’è prima di tutto il dialogo con la persona, perché è la persona che ha ideato quell’algoritmo, quindi parlare con una macchina, in realtà, è sempre parlare con la persona che ha programmato il suo codice. Questo vale non soltanto per l’installazione, ma per tutti gli algoritmi che giornalmente utilizziamo. Non credo nella superintelligenza della macchina che pensa da sola. Il ventaglio di approcci positivi o, molto spesso, negativi, è quindi dovuto a un agire umano e a questioni etiche e ideologiche dietro alla creazione del codice. Tornando a Velocity0: Stress-Test, la traduzione del segnale dal mio live set up ai martelletti della tastiera del pianoforte è stato il risultato di giorni di fine-tuning, di accordatura tra me e lo strumento, che però passavano tramite Charli. Per me è stato dunque un dialogo in primis con la persona e poi con lo strumento musicale umanamente codificato.

Questo dialogo è stato polifonico, poiché la macchina è stata allenata da una pluralità di artisti.
Durante tutta la durata dell’evento, più artisti sono stati chiamati da Charlie a contribuire tramite browser, a mandare le proprie registrazioni che venivano poi risuonate dalla macchina. Rispetto alla mia performance, il risultato è una soluzione molto estetizzante di due attori in dialogo sul palco, io come musicista con le mie macchine e il piano elettrico; con il burattinaio, Charlie, dietro le quinte. 

Credo che in questo aspetto – nel fatto che dietro l’algoritmo ci sia sempre una persona – risieda il bello e il brutto di questa tecnologia: la possibilità di riscatto, così come il proliferare di abusi. Come ti approcci alla IA, quali sono le criticità che vedi ora e nel lungo termine? 
È sempre una questione dell’utilizzo che ne viene fatto e di come vengono strutturati i codici. Non credo che ci siano bello e brutto a prescindere. Specie nell’ambiente artistico, l’articolazione fra questi due poli dipende dall’innovazione e dall’interpretazione che deriva dall’esercitare il proprio senso critico. Che poi ci sia una tendenza generalizzata a dire continuamente “wow” deriva dalla sorpresa e dalla paura verso determinati nuovi oggetti, come poteva essere, secoli fa, agli albori della stampa. I rischi sono presenti in qualsiasi tecnologia, il problema dipende sempre soprattutto da che cosa ne fanno i grandi capitali. Inoltre, non credo che la preoccupazione sia tanto in ambito artistico, quanto in altri settori umani: cosa succederà alle persone, ad esempio, se determinati lavori saranno cancellati e chi trarrà profitto da questa transizione?

LA PRATICA ARTISTICA DI TOMMASO PANDOLFI 

Come suggerivamo prima, una certa indefinitezza e ineffabilità caratterizzano il tuo lavoro. Essendo tale rigorosa apertura particolarmente delicata, come gestisci la sua malleabilità nella collisione di visioni creative multiple? Quando questa multivocalità è arricchente e generativa, e quando è difficile e frustrante? 
Possono esistere collaborazioni fluide, così come altre con più frizioni. Ad esempio, la prima mostra ad Aarduok è stata un’alleanza estremamente agile, di dialogo continuo, fondata anche sulla fiducia. Mi sono, ad esempio, ciecamente fidato di Mario e Alberto nell’allestimento, rispetto al quale avevo dichiarato la mia aperta ignoranza e le loro intuizioni fanno ora parte della modalità con cui espongo i miei disegni. Nel caso di Filippo Perfetti – mio collaboratore da vari anni –, solitamente gli presento delle intuizioni, sia visive che teoriche, sulle quali poi si va a instaurare, in maniera anche lì molto fluida, un discorso rispetto a come accordare idee a espedienti visivi e viceversa. Essendo amici di lunga data, è più facile con lui avere uno scontro, così come accade con la videoartista, Benedetta Fioravanti, amica nonché collaboratrice professionale. Capita che lei proponga delle idee visive, sulle quali io poi lavoro con il suono, instaurando così un dialogo costante; un incontro fortissimo in cui può anche sorgere lo scontro. Dimensione che trovo tuttavia estremamente fertile, in quanto è anche l’attrito a generare una terza visione, un terzo occhio. Poi, per esempio, la reciproca stima fra la pratica di Pedro Maia e la mia è stata riconosciuta da altriformati, associazione culturale focalizzata sulla curatela nel campo dell’immagine in movimento. Sono stati loro ad aver fatto dialogare le nostre pratiche, convogliandole in una performance di live cinema ad Argo 16 (Venezia, 2023), un progetto che vorremmo ripresentare in futuro.
Ultimamente ho poi collaborato anche con Alessandro Gagliardo, un filmmaker, con cui abbiamo presentato CRISI. Commemorare è come smettere di amare, un progetto sviluppato a Pordenone presso Cinemazero con Obliquo e altriformati, basato su foto d’archivio e registrazioni di Deborah Beer e Gideon Bachmann relative a materiali backstage dei film di Pasolini. Lì, l’incontro non è stato esclusivamente con Alessandro ma anche con un terzo agente: l’archivio.

Aspettative e paure per il futuro? 
Attualmente sto lavorando a una sorta di espansione visiva dell’artwork dell’ultimo album, Wounds of Melody (Kohlhaas, 2025). In questo passaggio dalla musica, tramite l’artwork, verso la parte visiva, mi sto concentrando su disegno e collage, sviluppando questa dimensione della lacrima che devo vedere dove mi porterà – forse diventerà un progetto espositivo per l’anno prossimo, non so dove, non so in che forma. Poi, il vuoto. 

Viola Amico

https://www.instagram.com/furtherset/

  • Portrait of Tommaso Pandolfi working in his studio during a residency at Fondazione Bevilacqua La Masa, Venice, 2025. Photo by Alessio Keilty.
  • Tommaso Pandolfi and Alessandro Gagliardo performing CRISI. Commemorare è come smettere di amare in Pordenone, 2025. Photos by Elisa Caldana.
  • Selected stills from The Streams of Time on Stone Dreams (2023), a 4K video with stereo sound by Tommaso Pandolfi.
  • Installation view of Index, solo exhibition by Tommaso Pandolfi at Aarduork, Venice, 2023. Curated by Mario Ciaramitaro and Alberto Restucci.
  • Selected stills from The Streams of Time on Stone Dreams (2023), a 4K video with stereo sound by Tommaso Pandolfi.
  • Still from I still love U, anyway (2024), a full HD video with stereo sound by Benedetta Fioravanti.
  • Selected stills from The Streams of Time on Stone Dreams (2023), a 4K video with stereo sound by Tommaso Pandolfi.
  • Performance still of Tommaso Pandolfi with Pedro Maia during a live cinema event at Argo16, 2023
  • Exhibition view of Il metro e la terra by Tommaso Pandolfi, SanSecondo, Milan, 2024. Curated by Filippo Perfetti. Photo by Giovanni Galanello.
  • Preparatory drawings for Thy Tumultuous Rooms (2025), a video work in 4K with stereo sound.
  • Selected stills from The Streams of Time on Stone Dreams (2023), a 4K video with stereo sound by Tommaso Pandolfi.