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Frammenti di corpi ritratti a carboncino hanno sfidato lo sguardo nella sede veneziana di Victoria Miro Gallery, che ha ospitato la mostra personale di Saskia Colwell fino al 15 marzo 2025.
Skin on Skin è il titolo della mostra personale della pittrice Saskia Colwell (Londra, 1999) inaugurata il primo febbraio 2025 negli spazi veneziani della Victoria Miro Gallery.
Entrando, la penombra avvolgeva lo spettatore e dirigeva lo sguardo verso gli unici punti illuminati dell’ambiente: le nove opere della serie, iniziata dall’artista durante la residenza lagunare del maggio 2024 e conclusa successivamente nello studio londinese.
LA MOSTRA DI SASKIA COLWELL A VENEZIA
La precisione clinica nella disposizione delle opere a muro e l’ambiente minimale della galleria facevano eco alla perfezione figurativa delle parti di corpo, spesso intime ed esplicite, che l’artista ci costringe a guardare. Ma la costrizione diventa piacere con i disegni di Saskia Colwell, il piacere voyeuristico e pudico di chi sa di guardare il “proibito”: la densa oscurità degli sfondi neri incornicia il bianco di corpi marmorei colti in attimi di contorsione plastica e pose innaturali che destabilizzano e seducono. Sono ritratti che occupano una posizione ambigua tra la nitidezza scientifica della fotografia e una sorprendente tridimensionalità statuaria, quasi “michelangiolesca”.
Questo è possibile grazie alla tecnica con cui Colwell imprime il carboncino sul vellum, utilizzato al posto del più comune lino o carta: “pelle su pelle”, come l’ha descritta l’autrice, questa superficie organica, un tempo viva e ora morta, aggiunge ulteriori strati e profondità alle sue opere.
Ed ecco quindi che in Turning the other Cheek il chiaroscuro degli incavi anatomici, le pieghe della pelle, la morbidezza della carne, la linea perfetta dell’arco dorsale che torcendosi “pone l’altra guancia” (ovvero l’altra natica) fanno emergere l’immagine, invitando non solo a guardare meglio, ma a guardare di più, a svelare un corpo già svelato, a toccarlo, a viverlo. L’artista, quindi, attraverso la resa esagerata e isolata del suo corpo, che così astratto può divenire anche il nostro, invita lo spettatore all’esperienza e all’incontro con il proprio, in un processo attivo di auto-conoscenza.
LE OPERE DI SASKIA COLWELL NEGLI SPAZI DELLA VICTORIA MIRO GALLERY
Ma è nei ritratti come Praise the Lord che spicca l’intento politico e provocatorio dell’opera di Colwell: due piedi si toccano simmetricamente come mani in preghiera, tuttavia a essere interpellato non è il Signore, ma una vulva. L’inguine aperto dischiude un bocciolo di carne clitoridea che spunta come un fiore dal prato della peluria pubica. Con questa immagine Colwell riesce sottilmente a dissacrare il sacro e a trasformare l’osceno in erotico. È dunque un’operazione politica di riappropriazione che pone al centro della scena l’“osceno”, ovvero zone erogene del corpo femminile per secoli censurate da leggi sul buon costume.
Ma se è vero che oggi una bulimia di immagini pornografiche rende tutto facilmente visibile e fruibile, è altrettanto vero che molte altre sono proibite da algoritmi che decidono cosa si può e non si può mostrare, cosa è appropriato e cosa no, in un’operazione robotica che diventa talvolta censura acritica, subita dall’artista stessa su piattaforme social come Instagram. A questa politica di controllo etero-patriarcale incorporato nell’AI, Saskia Colwell risponde creando visioni ingannevoli del corpo femminile, facendo per esempio apparire orifizi dove non dovrebbero essere o, al contrario, non mostrandoli dove sono. Instaura dunque un cortocircuito che inganna il sistema-algoritmo, non più capace di associare le sue opere ad anatomie umane: riesce così a sfuggire al controllo dell’intelligenza artificiale sul corpo della donna, denunciandone gli effetti sull’esplorazione della sessualità.
Le nove opere andate in mostra abitano l’interstizio tra privato e pubblico, intimo e distante, lecito e illecito, delicato e crudo, classico e contemporaneo, proponendo visioni controverse che attirano e respingono.
L’artista invita così a interrogarci sulle implicazioni etiche e politiche del guardare, anche in spazi adibiti all’osservazione come gallerie e musei, che Colwell, in un’operazione ancora una volta sovversiva, rende luoghi di esplorazione del piacere così detto “illecito”.
Vittoria Morpurgo










