La mostra “feed (/) me”, aperta fino al 19 settembre 2025 alla HAAM Gallery di Lahore, ha riunito opere realizzate attraverso varie tecniche e stili ‒ dai dipinti a olio/acrilico ai video al digitale ‒ da tredici artisti contemporanei pakistani, che hanno tratto ispirazione dai contenuti dei loro account Instagram pubblici. “feed (/) me” ha sollevato domande convincenti su come un mondo virtuale guidato da algoritmi abbia spostato il discorso sull’arte da “cos’è l’arte” a “come funziona l’arte”.
Il 29 agosto 2025, la mostra feed (/) me, curata da Ghazala Raees, ha aperto i battenti alla HAAM Gallery di Lahore, in Pakistan. Il titolo della mostra è fondamentale per comprenderne il nucleo e il significato. L’uso congiunto di un sostantivo e di un pronome nel titolo allude a una tensione peculiare che ora definisce il rapporto dell’artista con se stesso in un mondo che ruota attorno ai prodotti e che esiste nello spazio virtuale. In questo processo, il newsfeed dell’artista assume una vita propria, consumando, “alimentando” e alimentando le ambizioni e i desideri sia dello spettatore sia dell’artista. Le opere d’arte esposte possono essere interpretate come un’esplorazione stratificata dello spazio digitale, sia esso musa, catalizzatore, voyeur, dipendenza o archivio.
LA MOSTRA ALLA HAAM GALLERY
La struttura e l’allestimento della mostra consistevano in una disposizione affiancata in cui due grandi sale adiacenti consentivano ai visitatori di passare da uno spazio all’altro. La maggior parte delle opere era esposta sulle pareti. Alcune sono state raggruppate e presentate in base al coinvolgimento del pubblico, in modo che la prima sala collegata all’ingresso consentisse ai visitatori di interagire direttamente con determinati lavori.
Alcuni artisti hanno scelto un approccio più pittorico, come Ayaz Jokhio, il quale ha riprodotto un dipinto a olio ingrandito del suo telefono che mostrava il suo profilo Instagram. Forse è un commento relativo a una nuova epoca, in cui l’espressione “villaggio globale” è entrata in una fase inedita; l’artista era visibile, connesso e disponibile in ogni momento. Più che una mercificazione, il dipinto poteva essere interpretato come una sorta di metonimia della dipendenza dai social media, poiché è stato ironicamente intitolato Still life. Altri artisti, come Sohail Zuberi, avevano ingrandito e trasformato il loro newsfeed in una stampa lenticolare. L’opera era una sorta di rappresentazione della vita quotidiana in una città urbana raffigurata come un collage di post, che cambiava e oscillava mentre ci si muoveva nello spazio della galleria. L’opera era in bilico tra varie realtà e costringeva a interrogarsi sul punto di vista dell’artista: il newsfeed come incarnazione performativa della realtà sociale di un artista o semplicemente come un archivio voyeuristico degli abitanti di una città? Hoor Imad Sherpao ha creato un intero lungometraggio usando l’IA, che appare in forma di avatar impegnati in battaglie e in posa con personaggi famosi. Molte di queste opere hanno cercato di mettere in discussione la validità dei contenuti anche degli stessi newsfeed, una preoccupazione urgente in un mondo in cui fake news, disinformazione e intelligenza artificiale disordinata pretendono di democratizzare la creatività.

GLI ARTISTI IN MOSTRA ALLA HAAM GALLERY
Altre opere hanno commentato questa idea attraverso la documentazione del processo di creazione delle immagini digitali. Il valore e la paternità delle opere d’arte digitali sarebbero ulteriormente compromessi se il processo di aerografia e manipolazione fotografica fosse caricato su un newsfeed? Le opere di Nakshab Rehman consistono in tre piccoli schermi LCD disposti a triangolo su un unico piedistallo. L’uso del piedistallo può essere analizzato dal punto di vista storico-artistico: un tempo era progettato specificamente per dare importanza all’oggetto esposto, in modo da aggiungere grandiosità, elevandone il valore e il significato. Anziché un prezioso busto in marmo o legno, Rehman ha scelto di mettere in discussione questa convenzionale supremazia della tecnica e dell’artigianato, sostituendola con eleganti schermi che trasmettevano il laborioso processo di creazione dei suoi dipinti digitali. Il sottile gioco di parole di Rehman, che celebra la capitolazione della tecnologia rispetto all’uso di mezzi convenzionali come l’olio su tela o il marmo, si estende anche al suo soggetto. I tre schermi LCD non solo catturano il modo in cui Rehman realizza i suoi dipinti, manipolando e reimmaginando immagini esistenti, ma sollevano anche interrogativi sulla provenienza delle immagini utilizzate per la creazione delle opere.
Uno degli schermi mostrava una singola banana che emergeva da una catena montuosa evocando una concezione distorta del Sublime, un secondo schermo mostrava un rotolo di carta igienica aerografato su una fotografia di un paesaggio verde lussureggiante, mentre il terzo mostrava un paio di infradito avvolte dalla luce celeste della Trasfigurazione: l’irriverenza e la parodia del passato di Rehman mettono in discussione ciò che viene consumato e quale tipo di gatekeeping determina oggi il mito del genio artistico in un’epoca di mercificazione. I dipinti digitali di Rehman deridono la ridondanza di un passato che sembra quasi atavico con il suo affidarsi alla storia: oggetti banali e persino prodotti in serie sono reimmaginati con un tocco estetico di umorismo e kitsch digitale.

ARTISTI E SOCIAL MEDIA
La serie Please Like Me di Safwan Sabzwari cerca di smantellare l’iconica interfaccia di design e la logica di Instagram e delle piattaforme social. Le piattaforme social e la cultura degli influencer, in particolare, si alimentano della paura della cancel culture; la monetizzazione della propria vita comporta l’ansia di contare i “Mi piace” per determinare il proprio valore. Ciò è intrecciato con una malsana dipendenza dall’ossessivo rispetto delle preferenze algoritmiche dei follower in un’era digitale in cui l’approvazione da parte di sconosciuti anonimi determina più di ogni altra cosa l’autostima di una persona.
Dopotutto, ogni volta che vediamo un “Mi piace” sui nostri post sui social media, questo è accompagnato da un rilascio di dopamina che aumenta la nostra gioia e il nostro desiderio di compiacere. L’opera scultorea interattiva di Sabzwari canalizza questo desiderio nella parodia e nella giocosità dell’arte infantile per commentare questa cultura della gratificazione immediata. La sua opera consiste in sei mattoni rettangolari di uguali dimensioni montati su una parete. Ogni mattone contiene un marchingegno che ricorda molto i telefoni a leva della fine del 1870, evocando ricordi di tecnologie obsolete e forme di interazione/comunicazione perdute. Questa ridondanza è esemplificata da scarabocchi infantili o da opere simili a graffiti su ogni superficie, accompagnati dall’uso di un dispositivo portatile che può facilmente fungere da “ricevitore” telefonico a forma di timbro per il burro. È interessante notare che il ricevitore funziona come un cilindro per timbrare ed è fissato con una catena. Ai visitatori venivano fornite istruzioni che andavano di pari passo con le etichette espositive: al pubblico veniva chiesto di timbrare i propri “Mi piace” per immagini specifiche sotto forma di cuori, in modo che l’artista potesse incoraggiare gli spettatori a riflettere sulla futilità e sull’infantilismo dei nostri desideri sui social media.
feed (/) me è una mostra non convenzionale, che cerca di espandere i limiti di ciò che rappresenta la produzione artistica nell’era odierna. La sua rilevanza ha trovato riscontro nei giovani artisti, negli studenti e nei visitatori che hanno riflettuto sui confini sfumati tra il mondo reale e quello virtuale. Ogni opera racchiudeva questo nucleo di verità: alcuni frammenti dello Zeitgeist della loro epoca sono stati racchiusi nelle opere.
Zohreen Murtaza
Testo tradotto dall’inglese con l’IA



