Ida Križaj Leko, curatrice del Padiglione croato alla Biennale di Architettura di Venezia 2025

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“Intelligence of Errors” – il progetto del Padiglione croato alla Biennale di Architettura di Venezia 2025 – abbraccia con coraggio l’“errore” come strumento creativo e critico. La seguente conversazione con la sua co-creatrice, l’architetta e curatrice Ida Križaj Leko, esplora come l’errore possa essere mobilitato nel lavoro collettivo, nella pratica curatoriale e nell’immaginario architettonico.

Nata in Croazia, Ida Križaj Leko opera lungo l’intersezione tra architettura e ricerca curatoriale. La sua pratica spesso esplora le sovrapposizioni tra progettazione spaziale, immaginazione critica e autorialità collettiva. In Intelligence of Errors, lei e i suoi collaboratori hanno sviluppato un padiglione modulare basato sulla ricerca che indaga la presenza di “errori spaziali” nel contesto croato dal 1991, proponendo l’errore non come un fallimento ma come uno strumento generativo per ripensare le condizioni spaziali e sociali.

L’INTERVISTA CON IDA KRIŽAJ LEKO

Il Padiglione croato è stato sviluppato da un collettivo transdisciplinare e non gerarchico. Cosa ha innescato ‒ o complicato ‒ questo modo di lavorare in termini di pensiero curatoriale, autorialità e responsabilità condivisa?
Il team, oltre a me, è composto da Ana Boljar, Jana Čulek, Marino Krstačić-Furić, Iva Peručić, Ana Tomić e Marko-Luka Zubčić. Lavorando con ciascuno di loro, a volte in modo più diretto, a volte meno, avevo già affrontato il tema dell’errore o dell’interruzione.
Quindi questo progetto non è partito da zero; anzi, è stata l’occasione perfetta per riunire tutto il nostro lavoro in un unico luogo, alimentato dall’energia collettiva.
Allo stesso tempo, è stato un processo lungo e difficile, personalmente la prima esperienza di questo tipo. Il concetto curatoriale ha definito sia il periodo che stavamo affrontando (dall’indipendenza della Croazia nel 1991), sia l’“errore spaziale” come manifestazione nello spazio, come soggetto, e ci ha dato il compito di mobilitare l’errore come atto positivo, di metterlo a frutto. Abbiamo chiamato la prima fase del lavoro “brainstorming”, un processo della durata di un mese in cui abbiamo raccolto ogni idea relativa agli errori spaziali in Croazia, sia individualmente che come gruppo, per poi modellarle, impastarle come se fossero pasta. Questa è stata la parte più bella dello sforzo collettivo.
Durante quella fase, abbiamo concordato che il lavoro sarebbe rimasto collettivo, senza divisioni tra ricercatori e designer, e che tutti avrebbero assunto ogni ruolo. Naturalmente, questo ha creato anche delle sfide: il processo decisionale, le fissazioni individuali e l’enorme ambizione di mostrare tutta la complessità in uno spazio limitato di soli settanta metri quadrati. Poiché il progetto aveva una tempistica rigorosa, abbiamo dovuto valutare attentamente la profondità dell’impegno in ogni segmento, senza ridurre le cose al banale. E questa è solo la prima traduzione del progetto, che si sta evolvendo in un’indagine seria e pluriennale. Il lavoro sul campo ha assunto la forma di una fotografia del numero elevato di errori, mentre gli immaginari fungono da metodo metaforico per “raccogliere” gli errori attraverso oggetti interattivi e progettati, ciascuno con un simbolismo chiaramente connotato. In un progetto in cui abbiamo insistito, fino all’ultima vite, sulla condivisione delle decisioni e sulla messa in discussione iterativa di ogni cosa, ciò che è emerso è stato un padiglione coerente con un concetto audace, modellato da simboli e impressioni espliciti. Il Repository of Errors, sia digitale che analogico, è già in fase di popolamento e il progetto si sta ora sviluppando ulteriormente in una ricerca a lungo termine e in una rete di errori.
Un altro fattore cruciale ha accentuato la dinamica del gruppo. Lavorare con gli errori significava inevitabilmente confrontarsi con i propri errori, cosa alla quale non sempre siamo pronti in ogni fase del processo. Direi che è stato una sorta di psicodramma, ma con un lieto fine.

Pavilion of Croatia at the 19th International Architecture Exhibition of La Biennale di Venezia, 2025. Photo Doris Fatur and Hrvoje Franjić

IL PADIGLIONE CROATO ALLA BIENNALE DI ARCHITETTURA DI VENEZIA 2025

Il design del padiglione è il risultato di un processo curatoriale basato sulla ricerca, che ha tratto insegnamenti dall’esercizio didattico “Error Harvest”. Puoi illustrarci come questo quadro iniziale ha influenzato lo sviluppo del progetto, dalla ricerca alla risposta progettuale alla forma costruita?
Un altro requisito fissato da questa installazione si è rivelato impegnativo: il design doveva essere modulare, facilmente (s)montabile e trasportabile. Per questo motivo, il padiglione è stato concepito come un padiglione pop-up itinerante, costruito con materiali in grado di resistere a diverse condizioni climatiche e contesti spaziali, con un assemblaggio che non richiede particolari requisiti logistici. La sottostruttura pieghevole in acciaio inossidabile, imbullonata, è facilmente trasportabile, mentre l’“impermeabile” modulare in tela cerata si collega con cerniere e velcro, regolabile con cinghie e cordini seguendo la logica delle costruzioni simili a tende.
Il Repository è composto da 48 rotoli di carta stampati con errori spaziali tratti dal contesto locale, raccolti in parte attraverso un nuovo lavoro sul campo con la fotografia, lo studio di immagini aeree digitali, la lettura di dati statistici e spaziali e l’analisi di leggi e regolamenti. La selezione dei casi di studio nel Repository si è basata in gran parte su progetti scientifici, artistici e architettonici esistenti all’interno del nostro team.
Il tavolo da ping-pong impossibile, un ventilatore alimentato dall’essere umano e un frammento di un’installazione sul tetto della Biennale di Venezia 2021 sono stati progettati come oggetti interattivi che illustrano il nostro metodo di utilizzo dell’errore per generare mondi nuovi e migliori, quello che chiamiamo “Error Harvest”. Sono indipendenti dal padiglione stesso e in qualche futura iterazione potremmo facilmente immaginare di creare altri immaginari al loro posto. Decidere gli immaginari per la Biennale di Venezia è stata, in effetti, la parte più difficile del processo: come rappresentare il metodo in modo comprensibile, o come creare un oggetto che non fosse semplicemente una soluzione progettuale dettata dalla risoluzione di un problema.

Pavilion of Croatia at the 19th International Architecture Exhibition of La Biennale di Venezia, 2025. Photo Doris Fatur and Hrvoje Franjić

Hai inquadrato l’errore sia come soggetto che come metodo. Potresti considerare anche il “gioco” come parte di questa metodologia? Nel tuo lavoro, il gioco può essere una forma di critica?
Il gioco è sempre stato presente nel processo, anche se accompagnato da tensione. Insistendo sulla autorialità collettiva, abbiamo anche insistito nel mettere in discussione e riconsiderare ogni decisione. Questo ha aperto spazio alla giocosità nel metodo e nella forma, sia nella progettazione dell’impossibile tavolo da ping-pong, sia nella raccolta di errori attraverso oggetti interattivi. Allo stesso tempo, il gioco non è mai stato una distrazione, ma un modo per criticare i sistemi di ordine, mostrando come l’instabilità o l’improvvisazione possano generare conoscenza. In questo senso, il gioco ci ha permesso di dire cose che un formato espositivo tradizionale avrebbe limitato.

L’architettura croata ha spesso navigato tra sistemi di controllo e spazi di libertà. Il vostro padiglione commenta questo storico equilibrio e, se sì, in che modo?
Sì, assolutamente. Concentrandoci sugli “errori spaziali” dal 1991, abbiamo inevitabilmente tracciato le contraddizioni di una società ancora in bilico tra regolamentazione e libertà, ordine e improvvisazione. Molti degli errori che abbiamo documentato non sono semplici sbagli, ma tracce di sopravvivenza, adattamento o persino resistenza. Il padiglione, con il suo carattere modulare e provvisorio, riflette questo equilibrio: è strutturato ma flessibile, ordinato ma aperto alle interruzioni.

CURATELA E ARCHITETTURA

Nei tuoi lavori precedenti spesso ti sei occupata di narrazione spaziale e immaginazione critica. In quale modo questo progetto continua o sfida il percorso che hai intrapreso come architetta e curatrice?
Vedo questo progetto come una continuazione ma anche come un punto di svolta. Nei lavori precedenti, mi sono spesso mossa tra la pratica architettonica e i progetti speculativi. Qui, questi due aspetti si fondono più pienamente in un linguaggio collettivo. La sfida più grande è stata imparare a lasciar andare, a permettere al collettivo di plasmare il risultato e a lasciare che l’errore guidasse il processo invece di resistergli.

Se un bambino entrasse nel tuo padiglione, cosa speri che farebbe istintivamente? E se entrasse un filosofo, cosa vorresti che si chiedesse?
Spero che un bambino inizi immediatamente a giocare: tirando le cerniere, provando l’impossibile tavolo da ping-pong, toccando le texture. Il padiglione è pensato per invitare all’interazione, per stimolare la curiosità e la fantasia. Per quanto riguarda un filosofo, vorrei che ponesse domande più profonde: qual è il valore dell’errore nella società? In che modo gli errori possono essere produttivi anziché distruttivi? È possibile progettare un sistema che accolga le imperfezioni anziché cancellarle?

Pavilion of Croatia at the 19th International Architecture Exhibition of La Biennale di Venezia, 2025. Photo Doris Fatur and Hrvoje Franjić

Ida, tu ricopri il ruolo di architetta e curatrice, spesso contemporaneamente. In che modo questa doppia prospettiva ha influenzato il tuo approccio al padiglione? Ci sono stati momenti in cui questi due modi di lavorare hanno creato tensioni o attriti produttivi?
Posso dire onestamente che non sono molto brava come curatrice. Sono fondamentalmente un’architetta e in molte situazioni la mia mano è più veloce della mia testa. Ho cercato di essere il meno possibile un’architetta, pur offrendo il meglio delle mie conoscenze di progettazione. Soprattutto, ero più parte del team che una persona estranea a esso. E ora, con un po’ di distanza, è così che vedo la nostra installazione collettiva.

Gopika Kohli

https://idakrizaj.com/

https://www.labiennale.org/en/architecture/2025/croatia

https://intelligenceoferrors.com/

https://www.instagram.com/croatianpavilion2025/

Testo tradotto dall’inglese con l’IA