EN
Filippo Lotti, ex direttore generale di Sotheby’s Italia, oggi amministratore delegato di Art Defender, società che si occupa della custodia, della conservazione e della tutela di beni di pregio, riflette sul significato della “cura” nell’arte, tra mercato, pensiero critico e responsabilità. L’intervista esplora le trasformazioni del sistema dell’arte e il ruolo sempre più strategico della curatela.
Filippo Lotti (Arezzo, 1963) è una figura singolare nel panorama dell’arte italiano, così come lo è stata la sua carriera, tutt’altro che convenzionale, poiché ha unito pensiero, rigore, strategia ed estetica. Lotti si laurea in Filosofia all’Università di Firenze, per poi iniziare a lavorare all’interno di Sotheby’s Italia nel 1987 come responsabile di libri antichi, una passione che non smetterà mai di coltivare. Nella prestigiosa casa d’aste rimane per quasi quarant’anni, diventandone direttore generale.
Nel 2024, inizia una nuova esperienza come amministratore delegato di Art Defender, società che si occupa di logistica, protezione e conservazione di opere d’arte. Una svolta che non è un addio al mercato, ma forse un ritorno all’idea più originaria di curatela: prendersi cura.
Lo abbiamo incontrato per riflettere con lui sul senso del “curare” oggi, sul valore e sulle responsabilità del mercato, e sul dialogo – a volte sottile, a volte teso – tra artisti, collezionisti e istituzioni.
INTERVISTA A FILIPPO LOTTI
Lei ha una formazione filosofica. Come ha fatto convivere, nella sua carriera lavorativa, il pensiero critico con la logica del mercato?
Uno dei vantaggi degli studi filosofici è che aiutano in ogni campo professionale: un minimo di pensiero critico è funzionale allo svolgimento di un mestiere commerciale come quello che ho fatto io, che prevede anche una parte di ricerca accademica.
In quasi quarant’anni di attività svolti all’interno di Sotheby’s Italia, ha visto molte cose cambiare nel mercato dell’arte, ad esempio il passaggio da aste pubbliche dal vivo allo sviluppo del settore delle vendite private e in digitale. Quali sono le sostanziali differenze nel gestire le une e le altre?
Il procedimento delle due modalità di vendita è analogo, la grande differenza è che nell’asta dal vivo il ruolo del battitore e della casa d’aste in generale è cruciale per riuscire a creare un’atmosfera piacevole e un po’ teatrale al fine di incitare la partecipazione. L’asta elettronica è di facile e comodo utilizzo, ma è più fredda e informale. Lo sviluppo delle vendite private è stato un naturale passo nel momento in cui il mercato è diventato sempre più globale e le richieste della clientela sempre più differenziate.
Il mondo delle aste è spesso percepito come distante dalle dinamiche curatoriali, invece esistono numerosi format, come Contemporary Curated, che prevedono il coinvolgimento di un curatore o di personalità provenienti dal mondo della moda, del food, della cultura per la costruzione del catalogo in vendita, rendendolo unico e personalizzato. Quanto conta, secondo lei, la componente curatoriale ai fini commerciali? Può essere un valore aggiunto per attrarre giovani collezionisti?
Assolutamente sì. Oltre all’importante elemento scientifico/accademico, una curatela di qualità assicura al progetto, seppur commerciale, una specificità e una particolarità che rendono la proposta più allettante per il potenziale acquirente ed evidentemente più motivante anche per un pubblico più giovane.
C’è mai stata una occasione in cui un’intuizione curatoriale – sua o di un collega – ha avuto un impatto decisivo sul destino di un artista o di una vendita?
Decisivo forse no, ma un contributo sostanziale al consolidamento commerciale di un artista direi di sì. Fra gli altri posso citare il caso della vendita (monografica) dedicata da Sotheby’s Londra a Damien Hirst nel 2008.
ASTE, MERCATO E CURATELA SECONDO FILIPPO LOTTI
La figura del curatore sta cambiando: un ibrido tra advisor, stratega, a volte diventa persino un brand per artisti e collezioni. È un’evoluzione che nota anche lei?
Credo che si possa definire così, soprattutto a livello internazionale. Non saprei dire quanto questo ampliamento di ruolo sia auspicabile, ma è senza dubbio segno dei tempi in cui viviamo.
Dopo aver dedicato gran parte della sua carriera al mercato dell’arte, è ora alla guida di Art Defender. Cosa significa per lei oggi “curare” un’opera d’arte?
La “cura” per un’opera si può declinare in tanti modi: conservazione, restauro, ricerca, valorizzazione, e ognuna di queste voci prevede figure professionali sempre più specializzate.
Alice Longo
