Il Castello di Rivoli, a seguito dei festeggiamenti per i suoi quarant’anni, adotta un nuovo format curatoriale: Inserzioni. Tre artisti contemporanei dialogano con la collezione permanente creando significati inediti, fino a febbraio 2026.
Il Castello di Rivoli presenta Inserzioni ‒ un nuovo format curatoriale in cui artisti contemporanei sono chiamati a progettare un’opera pensata per il museo. Il progetto, curato dal direttore Francesco Manacorda, ha l’obiettivo di creare un dialogo mutevole, che consente agli artisti di esporre le proprie opere per sei mesi nelle sale abitualmente dedicate alla collezione permanente. I primi protagonisti sono: Guglielmo Castelli (Torino, 1987), Lydia Ourahmane (Saïda, Algeria, 1992) e Oscar Murillo (Valle del Cauca, Colombia, 1986).

INSERZIONI AL CASTELLO DI RIVOLI
Dal 1984 il Castello di Rivoli ricopre un ruolo fondamentale nella scena artistica contemporanea. Si presenta come un contenitore non finito che accoglie una stratificazione di significati e di linguaggi artistici improntati alla novità. Come citato da Monica Trigona su La Stampa, è lo stesso Manacorda a sottolineare la tendenza all’innovazione del museo da lui diretto, capace di accogliere nuovi stimoli e artisti provenienti da aree geografiche mai pienamente coinvolte in precedenza. Il risultato è una narrazione non più dettata da gerarchie ma da un racconto corale, in grado di spiegare come arte, passato e futuro si intreccino in un connubio armonioso. Inserzioni inoltre è un omaggio alla prima mostra del Castello ‒ Ouverture ‒ del 1984, curata dall’allora direttore Rudi Fuchs, in cui ogni artista coinvolto era invitato a realizzare un’opera in stretto dialogo con le sale del museo, pensando alla collezione come a una raccolta ideale. L’approccio innovativo e la partecipazione sono solo alcuni dei punti cardine che contraddistinguono entrambe le mostre e che rendono il Castello di Rivoli un importante centro di ricerca creativa. La scelta curatoriale di dare voce agli artisti di oggi, in un panorama costellato di grandi nomi come Richard Long, Hito Steyerl e Nicola De Maria, risulta un punto di forza per una istituzione che conserva la propria centralità nello scenario contemporaneo. Grazie al nuovo format, il museo non è, dunque, solo un contenitore, ma si trasforma in una autentica fucina di idee e in un prototipo di sperimentazione attiva.
LE OPERE IN MOSTRA AL CASTELLO DI RIVOLI
Nella sala affrescata dedicata ai Continenti trova posto il corpus di opere ideate da Guglielmo Castelli. Le pareti ospitano nuovi dipinti che richiamano mondi onirici cupi. Al centro della stanza, su due grandi tavoli, sono disposte piccole teche nelle quali sono racchiuse sculture di carta derivanti dal mondo della scenografia, da cui Castelli proviene. Le figure, cariche di tensione, conducono lo spettatore in un’ambientazione tra il reale e l’immaginario, il finito e il non finito. Nella sala adiacente, inoltre, sono esposti per la prima volta i quaderni di schizzi dell’artista, che includono pensieri e idee relativi ai suoi mondi immaginari.
Per voce (2025) è, invece, il titolo dell’intervento di Lydia Ourahmane realizzato in collaborazione con la sorella Sarah, musicista e compositrice. A un primo sguardo, l’opera risulta impercettibile: solo avvicinandosi alle pareti è possibile notare una lunga partitura in Braille. Il componimento si adatta al contenitore, i vuoti scanditi da finestre e aperture stabiliscono un ritmo che si sviluppa lungo tre pareti. Tre cantanti ciechi, sfiorando le partiture, danno vita a una performance che fonde corpo, spazio e suono.

L’ultima opera è A see of history (2025) di Oscar Murillo: un’installazione immersiva site-specific collocata nella sala 18 del museo. Il vasto ambiente è quasi del tutto riempito da quarantotto grandi tele ‒ della serie Disrupted Frequencies ‒ esposte a faccia in giù, inducendo così il pubblico a interagire con l’installazione. Attraverso l’utilizzo di lettini muniti di ruote e di una torcia da indossare sulla fronte, è possibile immergersi nel vasto oceano di segni e pennellate blu. Le tele, precedentemente arricchite da incisioni di studenti originari di vari paesi, vengono assemblate come un vasto mare che raccoglie in sé anni di ricordi, quasi fossero gesti condivisi. Il messaggio è tanto poetico quanto forte: l’esistenza di una cultura globale che abbatte confini.
La collezione museale è dunque impreziosita da nuove commissioni che ne riscrivono attivamente la narrazione, tenendo a mente il passato ma investendo nel futuro.
Maddalena Domenghini






