Prende forma in un sottoinsieme colorato nato dall’incontro fra l’inconscio e l’esplorazione della fisica quantistica la pittura di Anastasiya Parvanova, giovane artista bulgara che ha trovato a Venezia la cornice ideale per la sua ricerca.
Nata nel 1990 a Burgas, in Bulgaria, Anastasiya Parvanova vive e lavora tra Venezia e Sofia. Dopo il diploma in Arti Visive e Pedagogia presso l’Accademia di Belle Arti di Sofia, sceglie l’Accademia di Belle Arti di Venezia per studiare pittura. Da quel momento in poi, per Anastasiya Parvanova, Venezia diventa casa, oltre a essere la culla della sua pittura fiabesca. L’abbiamo incontrata nello spazio artistico Zolforosso, proprio a Venezia.
INTERVISTA AD ANASTASIYA PARVANOVA
Quando hai iniziato a mettere a punto lo stile che ti contraddistingue?
Credo di aver ricevuto una forte influenza da parte di Luisa Badino. Era circa il 2014, frequentavamo l’Atelier F durante gli anni dell’Accademia a Venezia. Luisa dipingeva versando colori liquidi sulla tela che poggiava a terra, come la famosa pittrice Helen Frankenthaler. Mi piaceva quel modo di creare perché non è possibile controllare come i colori si spostano e si collocano sulla tela, Ritenevo affascinante che l’acqua e l’acrilico agissero indipendentemente dalla mia volontà. L’effetto sorpresa che si genera per gli sfondi delle mie opere mi permette di concentrarmi e controllare ciò che voglio mettere in primo piano.
Quindi la tua tecnica è caratterizzata da acrilico e acqua?
Principalmente sì, ma anche da olio e da resina. Utilizzo l’acrilico soprattutto per le basi.
La tua forza espressiva accoglie ed esterna la tua sfera introspettiva, tuttavia la tua ricerca si basa anche su contenuti scientifici. Quali sono e come si collocano nella tua pittura?
Sì, la scienza nella mia arte ha un peso importante. Considero la natura e il mondo interiore di ognuno di noi entità estremamente vicine e compatibili. Se la scienza è un mezzo per scoprire la natura e l’universo, avvicinandomi ad esempio alla fisica quantistica sento di avere la possibilità di scrutare dentro di me, di capire i rapporti che mi legano alle altre persone, alle cose. Nello stesso tempo, però, mi piace pensare che sappiamo di non sapere. Questo mi rassicura perché la curiosità di conoscere induce all’immaginazione, che per me è fondamentale. I miei mondi fantastici, rappresentati nelle mie opere, danno infatti spazio alla mia immaginazione.
I SOGGETTI E LE TECNICHE SCELTI DA PARVANOVA
Le scarpe sono oggetti ricorrenti nelle tue opere. Cosa rappresentano per te? Alludono a un movimento e a una tua evoluzione personale?
Le scarpe che dipingo non sono scarpe. Sono delle creature, oggetti ai quali attribuisco un’anima. Ho iniziato a rappresentarle per caso, poi mi sono piaciute e ho continuato. Mi fa piacere quando chi osserva mi suggerisce l’idea che possano essere considerate un simbolo della cultura femminista; tuttavia, non è questa la mia intenzione. Ho paura di sfociare nel banale trattando un tema così importante. Non voglio avere la responsabilità di narrare e descrivere un genere in particolare, io parlo dell’umano. Per me le scarpe sono un portale, esprimono l’idea di viaggio e quindi di trasformazione. Le scarpe vanno in coppia, sono due, le intendo come un bivio di fronte al quale bisogna scegliere quale strada prendere, oppure sono le facce di una stessa medaglia, le due diverse pulsioni che possono coesistere all’interno dell’uomo.
Pensi che la tua pittura dai tratti fiabeschi sia influenzata dalla mitologia slava e della sua iconografia?
Non lo so, in questo caso potrei risponderti con un detto bulgaro: “Quando sei nella zuppa, non puoi sentirne il gusto”.
A proposito di influenze, credi che la tua estetica possa essere assimilata a quella surrealista?
Non mi piace categorizzarmi, voglio sentirmi libera. Paradossalmente, nonostante io stessa possa trovare delle affinità tra la mia pittura e il Surrealismo, allontano questa idea. Forse i miei occhi e la mia testa hanno abusato di questo stile durante gli anni della mia infanzia, la mia scuola era piena di quadri di Dalí. Involontariamente con Dalí condivido la mia parola preferita che è “ipnagogico” e fa riferimento ai pensieri morbidi, quelli che emergono poco prima dell’effettivo addormentamento.
Qual è la tua corrente pittorica preferita?
L’Impressionismo. Mi piace la ricerca che c’è dietro, un dipinto impressionista vibra, non è statico, lo senti, percepisci ad esempio la condizione atmosferica dei paesaggi rappresentati.
Qual è il tuo desiderio a livello professionale?
Vorrei riuscire a sperimentare, non rinchiudermi in un solo stile.
Per un artista visivo la sperimentazione è sempre un valore aggiunto?
Non per forza. Io credo che dipenda molto dalla natura dell’artista, io ho bisogno di cambiare, di sentirmi libera. Apprezzo chi sperimenta, così come stimo chi si concentra sul proprio stile migliorandolo sempre di più.
Lorenza Versienti


