L’arte del publishing incontra quella del displaying: Bruno Alfieri a Venezia

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L’archivio dell’opera editoriale di Bruno Alfieri, libera, nuova e realmente indipendente, è esposto per la prima volta nella galleria veneziana Mare Karina fino al 12 luglio 2025, con la curatela di Chiara Carrera e Mario Lupano.

Si potrebbe definire un “archivio aperto” quello racchiuso nella mostra allestita fino al 12 luglio 2025 nella sede veneziana della galleria Mare Karina: dedicata all’opera editoriale di Bruno Alfieri (Napoli, 1927 ‒ Milano, 2008), l’esposizione si concentrata sul periodo tra il 1948 e il 1973, anno in cui Alfieri Edizioni d’Arte fu ceduta ad Electa. È una raccolta di libri, riviste e documenti di un archivio prima inesistente, frutto del lavoro di ricerca svolta dai curatori Chiara Carrera e Mario Lupano e possibile grazie a prestiti di varia origine: dall’Archivio Giuseppe Marchiori al Centro di Alti Studi sulle Arti Visive ‒ CASVA di Milano, dalla Biblioteca del MART all’Archivio Giancarlo Iliprandi. Critico, curatore, gallerista nel settore artistico e architettonico, Alfieri fu soprattutto editore pioniere nell’arte del publishing per come lo intendiamo oggi: vivo, vibrante, comunicativo, trasversale e interdisciplinare. Persino gli inserti pubblicitari o il colophon erano considerati dall’editore non come elementi scomodi, ma, al contrario, come pretesti per rafforzare l’idea di una rivista ibrida e contemporanea, in grado di parlare a un pubblico ampio, superando il limite tra “contenuto” e “contenitore” di quelle datate e noiose riviste di intellettuali che parlano ad altri intellettuali. Per Alfieri, testo, grafica e immagine fotografica sono parti di eguale importanza che parlano dello stesso insieme, quello di un’idea, di una visione creativa e autoriale dietro a un progetto editoriale, in cui il dispiegamento di materiali testuali e grafici genera costellazioni visuali e concettuali “attraverso il gioco della giustapposizione”, come spiegato nel testo di sala. Una concezione artistica, la sua, che vede l’editoria come agente attivo nella scena contemporanea, capace di proporre visioni, azioni, nuove relazioni e non più mero contenitore passivo che reagisce unicamente a quanto già esiste. 

L’EDITORIA SECONDO BRUNO ALFIERI

Oggi, nella “società dell’immagine” ‒ in cui il culto per l’“esthetic” nei sempre più numerosi “magazine indipendenti”, digitali oltre che cartacei, maschera talvolta carenza di contenuto ‒ questa attenzione alla “forma” potrebbe apparire scontata. Ma non era così per Alfieri, che, nel 1948, agli inizi della carriera ‒ con la prima monografia italiana di Paul Klee, poi con la cura dei cataloghi per la Biennale (1951-58) e per la Collezione Peggy Guggenheim ‒, si scontra invece con una realtà editoriale schematica ed elitaria. “Una solita antologia più o meno ben raffazzonata di articoli pomposi e inconcludenti, ma legati tra loro”, come scrive nel 1949 allo storico dell’arte Giuseppe Marchiori, poi amico e compagno di avventure editoriali con cui intratterrà uno scambio epistolare durato vent’anni (rivelatosi humus fondamentale per la ricostruzione archivistica). È un estratto della stessa lettera che in mostra viene graficizzata come “manifesto” del pensiero dell’editore-autore, in cui emerge il fatto che la collana Arte d’Oggi (1949-52) non nasca da un’intenzione a priori, ma in risposta a un’urgenza di svecchiamento. Una rivista bella in senso lato, “veramente signorile, ma non snob né pazza”, ricca di una presentazione grafica “ariosa ed elegante”, piacevole da sfogliare, con “un giusto equilibrio tra articoli critici e servizi d’informazione”, come specificò lo stesso Alfieri. È forse la sua formazione da librario, sviluppata nella libreria Serenissima fondata dal padre nel 1938, a conferirgli una mentalità aperta e dinamica, in cui convivono una sensibilità estetica in grado di concepire il libro come oggetto d’arte e un’attitudine pragmatica a intendere il libro come oggetto da vendere, che deve quindi avvalersi di una distribuzione capillare ed essere almeno bilingue. Assicurando ai suoi progetti editoriali un respiro internazionale ‒ come per Zodiac (1957-63), celebre rivista di architettura trilingue a cui segue Lotus (1963-70, oggi del gruppo editoriale Electa) ‒, Alfieri anticipa di decenni una tendenza oggi necessaria e dimostra di saper scegliere gli autori non in base alla lingua, ma in base a criteri fondati su idee e concetti. Così nasce anche Quadrum (1956-66), rivista quadrilingue d’arte contemporanea fondata insieme al belga Ernst Goldschmidt, che include nel comitato editoriale importanti nomi in rappresentanza di paesi diversi. Poi in Metro (1960-70) ‒ che Alfieri considera la sua rivista d’avanguardia, quasi totalmente indipendente dal mercato dell’arte ‒ approfondisce il rapporto fra testo e immagine, concedendo grande libertà creativa al fotografo, ritenuto parte integrante del progetto artistico. Sono ibridazioni fra arte e architettura le riviste Marmo (1962), Pagina Pacco (1962), in cui Alfieri sperimenta il nuovo formato del “quadrato imperfetto”, che avrà un enorme successo nell’editoria del settore. 

LA MOSTRA SU BRUNO ALFIERI DA MARE KARINA A VENEZIA

Questa visione di “super rivista”, fatta di costellazioni accomunate da una coerenza visiva e concettuale, si ritrova nell’allestimento della mostra veneziana: elementi metallici standard avvolgono il nastro cronologico dell’opera di Alfieri, non impedendo però una fruizione libera e spontanea: l’accostamento di riviste aperte, documenti appesi, immagini grafiche e testuali evoca la tendenza di Alfieri a instaurare relazioni inedite con la sua arte del publishing. L’arte deldisplaying messa in scena dai due curatori risolve la contraddizione di non potere toccare un oggetto, che nasce per essere aperto e sfogliato, perché opera d’archivio: con una grammatica che intreccia l’estetica del bookshop e quella performativa della lettura, il display sfoglia le opere per noi. Con l’augurio che l’archivio temporaneo ospitato da Mare Karina possa diventare permanente. 

Vittoria Morpurgo